PSICOLOGIA DI DESTRA E PSICOLOGIA DI SINISTRA

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Siamo sempre stati convinti che l’orientamento politico della gente fosse una prerogativa essenziale del libero arbitrio e della scelta cosciente. Abbiamo letto recentemente su queste pagine che la dicotomia destra-sinistra si riferisce dai tempi dell’Illuminismo a categorie ideologiche e filosofiche riassunte nella tendenza all’egualitarismo e al progresso a sinistra e alla differenziazione e alla tradizione a destra (vedi N. Bobbio, Destra e Sinistra, Donzelli, 1994). Studi recenti sembrano però rivelare fattori più profondi in questa scelta; vi sarebbero insomma alcune disposizioni psicologiche con profonde radici nella fisiologia e nella genetica a determinare la nostra tendenza politica a destra o a sinistra («Science», voi. 321, 19 sett. 2008, 1667-9). Baker, allievo di Wilhelm Reich, aveva individuato queste tendenze, che definì caratteriali, già negli anni 60 con la descrizione del carattere di destra e quello di sinistra (vedi E. Baker, L’uomo nella trappola, Astrolabio, 1973).

Psicologia di chi vota a destra

Per Baker il tipo caratteriale di destra descrive quelle persone che hanno inventato la destra politica e che spesso la votano; queste ideologie sono lo specchio di una struttura caratteriale, emozionale e neurobiologica: il carattere conservatore. Il conservatore è una persona propensa all’emozione più che al sentimento, alla reazione fisica più che intellettuale, al misticismo più che al meccanicismo. Non da ultimo è profondamente
selettivo nei contatti con i suoi simili (ecco la «diseguaglianza» di Bobbio). I valori a lui cari sono la libertà e l’indipendenza e in secondo piano la giustizia e la pace. Di conseguenza non ama l’intervento statale, rifugge dalle ingerenze esterne negli affari personali o che riguardano il suo stretto entourage, anche a scapito di tollerare alcune ingiustizie e qualche conflitto, che non disdice vista la sua natura fisica ed emozionale. Se si polarizza, le sue virtù diventano difetto, l’emozione si fa esplosiva, diventa brutale, totalitario e mistico (vedi le moderne teocrazie arabe), le caratteristiche psicologiche del fascista nero.

Psicologia di chi vota a sinistra

II tipo caratteriale di sinistra descrive invece quelle persone che hanno elaborato le ideologie politiche di sinistra e le votano; queste ideologie sono anch’esse lo specchio di una struttura caratteriale neurobiologica, e cioè il carattere progressista. Il progressista preferisce il sentimento all’emozione vera e propria, il raziocinio più che la reazione fisica (da qui la sua riluttanza ad ogni espressione fisica dell’aggressività); è tendenzialmente meccanicista e rifugge il misticismo. La sua propensione al collettivismo è diventata la sua bandiera. I valori a lui cari sono la pace e la giustizia e solo in seguito la libertà e l’indipendenza. È propenso al controllo delle ingiustizie soprattutto verso i meno privilegiati e alla regolamentazione dei conflitti,
anche a scapito della libertà e dell’indipendenza. Se si polarizza, la sua razionalità si trasforma in difesa intellettuale e menzogna fino a livelli di estrema sofisticatezza, diventa cinico, totalitario e meccanicista (tutti conosciamo l’aberrante cinismo del regime sovietico), le caratteristiche del fascista rosso. Nella realtà le cose non sono semplici e lineari: secoli di storia hanno fatto sì che molti caratteri conservatori si schierino a sinistra (si pensi alla Russia post-sovietica dove i nostalgici comunisti sono rappresentati soprattutto da caratteri conservatori) e molti progressisti si schierino a destra (molti ideologi delle moderne teorie della destra neo-conservatrice sono rappresentati da caratteri progressisti). Ciò nondimeno rimangono le tendenze ideologiche. Ma il problema dove sta? Sta nella polarizzazione dei due versanti. Destra e sinistra sono due modi di funzionamento neurobiologico, entrambi legittimi. Invece di convivere tendono ad eliminarsi a vicenda provocando malattie sociali dalle conseguenze spesso spaventose. I valori a cui noi tutti teniamo sono gli stessi, sia per i conservatori che per i progressisti, cambia solo il loro ordine di importanza. La polarizzazione, invece, lacera il comune denominatore fra le due tendenze ed è sempre dipendente dalla nevrosi individuale. Chi si polarizza è una persona nevrotica che scarica i propri problemi e il proprio odio inconscio sulla società, sono gli
pseudo-progressisti da una parte e i reazionari dall’altra. Questa è la vera scoperta di Baker. Nel passato, nella società autoritaria repressiva e compulsiva, non si riconoscevano «i nemici a destra» (i caratteri reazionari) con le ben note derive negli estremismi brutali di destra. Oggi nella società anti-autoritaria post-sessantottina, permissiva e impulsiva, rifiutiamo di vedere «i nemici a sinistra» (i caratteri pseudo-progressisti) con le caratteristiche derive nel cinico estremismo di sinistra (oltre ai regimi comunisti si pensi alla deriva della Rivoluzione francese con i suoi massacri). La polarizzazione è sempre sintomo di malattia dell’organizzazione sociale (e quindi un’organizzazione che perverte le leggi naturali dell’aggregazione degli individui) e per ciò altamente instabile: un’organizzazione sociale polarizzata può sfociare in un estremismo opposto alla tendenza del momento (aumento dei movimenti di estrema destra nell’attuale egemonia culturale di sinistra) o in un’infiammmazione verso gli estremi dell’ideologia del momento, in ogni caso niente di buono malgrado gli inni, le buone intenzioni e le sofisticate ideologie. Tutto ciò sembra un proclama politico per una scelta di centro. In verità è un proclama scientifico che ci ammonisce a riconoscere gli effetti devastanti che l’odio inconscio di certe nevrosi ha sull’organizzazione sociale umana. Alberto Foglia, dr. med. FMH psichiatria e psicoterapia

Carlos Castaneda Viaggio a Ixtlan

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Carlos Castaneda – Viaggio A Ixtlan

“Viaggio a Ixtlan” è il capitolo finale della trilogia dedicata agli insegnamenti di don Juan Matas, l’indio yaqui che ha svelato a Castaneda i misteri della sua antica cultura.

Un racconto illuminante, che ci permette di ripercorrere l’ultimo apprendistato dell’autore, a più di dieci anni dal primo incontro con il maestro: il lungo viaggio destinato a portarlo – attraverso lezioni, esercizi corporali e spirituali, prove, visioni – a percepire finalmente l’universo quale è, senza il filtro delle convenzioni.

È giunto il momento di accostare, e fare proprio, un concetto fondamentale, che sta alla base del cammino verso una comprensione profonda dell’esistenza: la differenza tra il “guardare” quotidiano e il “vedere” del saggio, tanto più profondo; o, condizione necessaria per vedere, la “capacità di fermare il mondo”, di interrompere, cioè, il flusso di immagine che costituisce la nostra ordinaria interpretazione delle cose; o, ancora, “il potere” che consente all’iniziato di controllare il mondo nelle sue manifestazioni più profonde.

E, attraverso questo nuovo sguardo, giungere a un istante di totale lucidità.

 

A Scuola dallo Stregone – Carlos Castaneda

Carlos Castaneda

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A Scuola Dallo Stregone
Nel 1968 una casa editrice universitaria della California pubblicava la singolare tesi di dottorato di uno studente di antropologia. Era il frutto di cinque anni di apprendistato dell’autore presso uno sciamano Yaqui, don Juan Matus, che in una serie di dialoghi rivelava una concezione del mondo (l’antica sapienza degli sciamani messicani) radicalmente alternativa rispetto a quella razionalista della civilà occidentale. «A mia insaputa» scrive l’autore, Carlos Castaneda, «il mio compito passò misteriosamente dalla semplice raccolta di dati antropologici all’interiorizzazione dei nuovi processi cognitivi del mondo sciamanico.» Nella cognizione sciamanica, ciò che conta davvero è l’incontro dell’uomo con l’infinito; la facoltà da acquisire è il vedere, «l’atto di percepire direttamente l’energia che fluisce nell’universo»; un metodo per raggiungere questa facoltà è l’uso rituale di piante sacre agli indiani del Messico come il peyote (o il mescalito, come preferisce chiamarlo don Juan). Non è difficile immaginare lo straordinario potere di suggestione esercitato da quella tesi di dottorato sulle generazioni che diedero vita alla rivolta degli anni Sessanta e alla New Age.

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